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Sono passate due settimane e Dylan non ha ancora detto niente sul premio Nobel assegnatogli.
di Leonardo A. Losito
In tutto il mondo sono in molti ad interrogarsi su cosa possa significare la mancanza di un qualsvoglia commento di Bob Dylan sul prestigioso premio mondiale conferitogli dalla Reale Accademia di Svezia. Anche in Italia la stampa se ne e' occupata ampiamente, riportandoci le voci piu' disparate che vanno dal dissenso all'esultanza. Come pure, ai tentativi piu' fantasiosi di interpretare il suo assordante silenzio. Snobismo, timidezza, arroganza? O cos'altro ancora?
Volentieri me ne sarei stato in disparte, a gustarmi questo ennesimo vano tentativo di voler trovare a tutti i costi una interpretazione quale che sia per uno dei personaggi pubblici della nostra epoca, da sempre non incline a lasciarsi intrappolare in ruoli, definizioni ed etichette.
A stanarmi sono riusciti alcuni amici, con i quali nel corso di quasi mezzo secolo non c'e' stata una volta in cui parlando di cose americane non spuntasse il nome di Dylan, legato a quegli anni di intense campagne pacifiste e per i diritti civili che segnarono la consapevolezza di intere generazioni. Da noi, i piu' attivi su quel fronte erano i Radicali di Marco Pannella.
Non c'e' dubbio che sia incalcolabile il numero di quanti, a qualsiasi latutudine del globo, abbiano imparato a riconoscere il timbro tra lo stridulo ed il graffiante della voce nasale con cui ci arrivarono le sue prime canzoni, poi entrate (e restate) nel mito dilagante della controcultura americana. A partire dagli anni '60, attraverso una mirabolante evoluzione di stili e di tematiche.
Oggi pero' il focus attenzionale e' concentrato sulla questione del Nobel 2016 per la Letteratura e della sua mancata risposta ai vari tentativi di parlargli effettuati dalla segreteria del premio.
Difficile dire qualcosa di nuovo o di originale rispetto a quanto e' stato gia' detto. Ma visto che mi viene chiesto, ci provero'. Intanto, nel 1970 la laurea ad honorem gliela aveva gia' conferita la Princeton University. Il che, dato il prestigio dell'ateneo statunitense, e' tutto dire. In Italia per fortuna c'era Fernanda Pivano che da Milano ci teneva aggiornati con articoli e pubblicazioni di successo che facevano storcere il naso a qualche accademico. Non all'Universita' di Bari pero', dove il nesso tra Bob Dylan e la Letteratura (e mi risulta direttamente)era ritenuto plausibile: nella Facolta' di Lettere dell'Ateneo pugliese uno studioso anglo-americanista tra i piu' versatili e stimati d'Italia, Vito Amoruso, accetto' di seguire nel 1975 la mia tesi di laurea su Bob Dylan.
Ricordo ancora perfettamente che il Professore mi aveva inizialmente suggerito di concentrarmi su Lawrence Ferlinghetti, un' altra icona storica della Beat Generation, alla quale Amoruso aveva appena dedicato una squisita pubblicazione (La letteratura beat americana, Laterza, Bari 1975 = piu' volte ristampato). Quando pero' io gli proposi un'analisi delle liriche di Dylan nell' alveo del retroterra storico-culturale del dissenso americano (bibliograficamente corroborato, per intenderci, dalla lettura di Henry David Thoreau per arrivare a William Appleman Williams, Richard Hofstadter e Theodore Roszak), la sua esclamazione fu un compiaciuto Addirittura!, incorniciato da un ampio sorriso tra il complice ed il divertito. Al che, per rassicurarlo, aggiunsi dsubito che in seduta di laurea, non mi sarei presentato con la chitarra e l' harmonica holder alla Woody Guthrie!
Ma oggi? Come reagire a quest'ultima sollecitazione a pensare qualcosa di appena moderatamente sensato, che ci giunge da Mr. Robert Allen Zimmerman – questo il suo vero nome all'anagrafe – alias Shabtai Zisel (Zushe) ben Avraham, come e' chiamato dagli Ebrei di diversi continenti?
Sul Dylan Ebreo molto e' stato scritto in America. Da noi se ne sa un po' meno, nonostante abbondino anche in rete fonti bio-bibliografiche, ipotesi ermeneutiche fondate sui testi ed un'ampia aneddotica: come le frequentazioni rabbiniche in piu' sinagoghe sin da giovanissimo, nonche' foto a recenti con i paramenti classici del culto israelitico. Ma torniamo al punto. Partiamo dai fatti certi. La notizia del Nobel viene diramata mentre Dylan (75 anni compiuti lo scorso 24 maggio) era a Las Vegas, per un concerto dove i suoi fans aveva comprato un biglietto per sentirlo cantare dal vivo. E mi chiedo: cosa avrebbe potuto fare il cittadino americano Zimmerman, il musicista con all'attivo oltre cento milioni di dischi venduti e gia' gratificato dal Presidente Obama nel 2012 con la Gold Medal of Freedom, il massimo riconoscimento USA per meriti civili a favore della Pace? Doveva forse interrompere l'esibizione dinanzi ad un pubblico disomogeneo per eta', origini, ceto sociale ed etnia, magari poco informato sulle istituzioni culturali europee? E per fare cosa, poi? Per dir loro quanto fosse compiaciuto per la nuova onorificenza assegnatagli? E siamo sicuri che, a parte i cronisti, i presenti avrebbero apprezzato questa indebita, oggettivamente poco professionale ed auto-celebrativa divagazione dal palco di un live concert? Qualche dubbio e' lecito averlo.
Certo, si dira' ancora, come si e' pur detto: Dylan avrebbe potuto dare un segnale almeno dopo. A noi risulta che mentre l'artista era alle prese con una tappa importante del Never Ending Tour, alle chiamate di Stoccolma abbiano risposto i suoi managers. E almeno fino alla data della cerimonia di dicembre, a Stoccolma questo e' stato ritenuto sufficiente. Ma poi: siamo proprio certi che serva un press-release dell'interessato? E a che scopo? Per alimentare – qualsiasi cosa avesse detto – le polemiche intanto divampate sui media di tutto il mondo su un premio per la Letteratura dato ad un musicista Ebreo statunitense? Dylan non ha mai negato di essersi ispirato in molti dei suoi testi ad antiche preghiere ebraiche, alcune delle quali scolpite in tavole d’argento dei giorni del Primo Tempio: come ha ricordato non piu' tardi di alcuni giorni fa Yair Lapid, un autorevole membro della Commissione Affari Esteri e Difesa del Parlamento israeliano (Knesset). Che altro serve?
Oltre tutto, i giornali li leggono anche i cantanti. Magari solo i titoli in rassegna-stampa, dove il nome dell'artista viene citato. E sappiamo tutti cosa si e' scritto negli stessi giorni in cui montavano le critiche verso un'altra istituzione artistico-culturale come l'UNESCO. O si sarebbe voluto che un personaggio difficile come Dylan, gia' per suo conto da sempre schivo e refrattario alle incursioni dei media, si lasciasse tirare per il bavero sulla delicata vicenda internazionale del voto su una improvvida dichiarazione sui luoghi sacri degli Ebrei, passata con il voto contrario degli Stati Uniti e tante astensioni, tra cui pure quella italiana?
Mentre scriviamo la querelle e' ancora in corso ed e' una vicenda che anche a molti osservatori non di parte e' apparsa irriverente per la millenaria sensibilita' ebraica, come per la stessa tradizione giudaico-cristiana. Allucinante, l'ha subito definita il Premier Matteo Renzi, che per il Nobel assegnato ad un artista come Dylan e' stato tra i primi a felicitarsi, a poche ore di distanza dalla scomparsa di un altra non meno discussa icona del palcoscenico come Dario Fo premiato col Nobel: il quale aveva detto che se quest'anno il Nobel fosse stato dato a Dylan, lui sarebbe stato contento.
Ove cio' non basti, accademici, linguisti e letterati italo-scettici potranno confrontare i propri patemi con le positive espressioni per la scelta fatta dalla Giuria del Nobel fatte da uno studioso stimato come il Professor Tullio De Mauro che e' pure un ex Ministro della Repubblica. A quanti hanno reagito quasi scandalizzati per l'accostamento del Cantautorato come genere alla Letteratura, verrebbe di rispondere che in Democrazia son rispettabili anche le dissenting-opinions.
Gli italiani di qualsiasi eta', credo ed orientamento politico, sanno bene che il nostro Paese e' storicamente sempre stato una delle tappe toccate dai tour di Dylan. A Roma non aveva ancor compiuto 22 anni quando nel 1963, piu' o meno semisconosciuto, si esibi' a Trastevere nel mitico Folkstudio di via Garibaldi 59. Memorabile rimane la sua esibizione nel 1997 a Bologna, ad un concerto nell'ambito del Congresso Eucaristico al quale presenzio' il Papa polacco Karol Woytila. Nella capitale ritorno' ancora nel 2013, dopo essere stato anche a Padova e a Milano. E appena l'anno scorso canto' a Lucca con Francesco De Gregori. Verra' ancora nel Belpaese. E ad aspettarlo ancora saremo in tanti.
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